Spina a Repubblica: “La Women’s Cup grande esperienza, Asllani la nostra Ibrahimovic”


Seconda parte dell’interessante intervista concessa da Elisabet Spina e La Repubblica. La Responsabile del settore femminile del Milan ha parlato cosi della formazione rossonera di quest’anno e dei cambiamenti portati dal professionismo:

“Quest’anno niente Champions per noi? Abbiamo partecipato alla scorsa edizione, a questa non ci siamo qualificate, essendo arrivate terze in campionato dopo il secondo posto del 2020-21. Ma il prestigio che ci siamo conquistate lo abbiamo constatato quest’estate, quando per la prima volta abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci in America con avversarie di livello mondiale. Nel torneo di Louisville, oltre al Tottenham, la nostra squadra si è potuta misurare con due club della National League americana, il Racing Louisville e l’OL Reign di Tacoma, con le giapponesi del Tokyo Verdi Beleza e con le messicane del Club America. Anche sul piano sportivo non è andata male, siamo arrivate in semifinale. Ma l’obiettivo non era solo il risultato del campo. Già avere ricevuto l’invito a un evento come la Womens’s Cup 2022 dimostra il livello di crescita”.

“La nostra Asllani spesso paragonata a Ibrahimovic? Tanti aspetti li accomunano, a cominciare dalla nazionalità. All’Europeo Kosovare era la capitana svedese ed è una leader naturale: anche caratterialmente l’accostamento con Zlatan non è improprio”.

“Quanto costa un club di calcio femminile in Italia? È difficile definire con esattezza l’investimento, perché non tutti i costi sono specificamente destinati al settore, esistono strutture e figure professionali condivise col maschile. Si può ragionevolmente dire che in Europa i club principali investano fino a 10 milioni di euro l’anno e in Italia 4-5, che è la cifra necessaria per essere competitivi oggi in Serie A, mentre 5 anni fa, quando venne istituito l’obbligo federale per ogni club di avere il settore femminile, bastava un milione. Poi bisogna valutare quanto, nel progetto complessivo, viene destinato esclusivamente agli stipendi e quanto alla crescita, comunque i club principali investono quasi tutti le stesse cifre. È confortante il fatto che i ricavi aumentino ogni anno di circa il 20-30%: le prospettive di sviluppo sono evidenti, specialmente dopo la pandemia che aveva costretto alle porte chiuse”.

“Gli spettatori sono ancora pochi? Purtroppo negli ultimi due anni si è giocato a porte chiuse o davanti a pochi invitati. Da questa stagione il Vismara, per le nostre partite casalinghe, è quasi sempre pieno. Ma c’è un successo televisivo? La copertura televisiva, cresciuta anche a livello internazionale, diventa essenziale. La 7 trasmette in chiaro una partita per ogni giornata di Serie A, mentre sulla piattaforma Tim Vision sono visibili tutte le partite del campionato gestito dalla Figc. Noi, su Milan tv, trasmettiamo le nostre partite”.

“Il professionismo è stato un passo fondamentale. La Serie A femminile, a differenza della Serie A maschile, ha chiuso con Aic e Aiac gli accordi collettivi. Adesso esistono minimi salariali, in Serie A, equiparati alla Lega Pro, che è la prima categoria professionistica maschile, mentre fino alla scorsa stagione c’erano 90 calciatrici col contratto a zero. C’è una più equa distribuzione dei salari e sicuramente sono cresciuti anche gli stipendi medi. In ogni caso io credo che l’obiettivo debba essere anche un altro. Al Milan, ogni anno, ce ne diamo uno. L’amministratore delegato Ivan Gazidis, che ha un passato nella Mls degli Usa e nell’Arsenal in Premier League, tiene molto al fatto che il club possa esprimere valori legati al calcio femminile attraverso progetti dedicati, ad esempio per la tutela delle giocatrici. Siamo stati il primo club in Italia a pagare i contributi previdenziali anche quando non erano ancora previsti. Poi l’incontro col sindaco di Louisville ci ha portato a valutare un aspetto dello sport nel quale ci siamo riconosciuti pienamente: ognuno di noi ha l’obbligo di provare a cambiare il mondo in meglio. Questo è il valore che più dobbiamo prendere dallo sport americano, perché contraddistingue gli atleti negli Usa: la responsabilità che ogni atleta professionista deve avvertire è di usare il suo status per provare a migliorare il mondo, in tutti i modi che gli sono possibili. Non per se stesso, ma per le nuove generazioni”.

TCF (2 – fine)


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